Satira V

A Messer Annibale Malegucio

Da tutti li altri amici, Annibale, odo,
fuor che da te, che sei per pigliar moglie:
mi duol che ‘l celi a me, che ‘l facci lodo.
Forse mel celi perché alle tue voglie
pensi che oppor mi debbia, come io danni,
non l’avendo tolta io, s’altri la toglie.
Se pensi di me questo, tu te inganni:
ben che senza io ne sia, non però accuso
se Piero l’ha, Martin, Polo e Giovanni.
Mi duol di non l’avere, e me ne iscuso
sopra varii accidenti che lo effetto
sempre dal buon voler tennero escluso;
ma fui di parer sempre, e così detto
l’ho più volte, che senza moglie a lato
non puote uomo in bontade esser perfetto.
Né senza si può star senza peccato;
che chi non ha del suo, fuor accattarne,
mendicando o rubandolo, è sforzato;
e chi s’usa a beccar de l’altrui carne,
diventa giotto, et oggi tordo o quaglia,
diman fagiani, uno altro dì vuol starne;
non sa quel che sia amor, non sa che vaglia
la caritade: e quindi avien che i preti
sono sì ingorda e sì crudel canaglia.
Che lupi sieno e che asini indiscreti
mel dovreste saper dir voi da Reggio,
se già il timor non vi tenesse cheti.
Ma senza che ‘l dicate, io me ne aveggio;
de la ostinata Modona non parlo,
che, tutto che stia mal, merta star peggio.
Pigliala, se la vuoi; fa, se déi farlo;
e non voler, come il dottor Buonleo,
ala estrema vecchiezza prolungarlo.
Quella età più al servizio di Lieo
che di Vener conviensi: si dipinge
giovane fresco, e non vecchio, Imeneo.
Il vecchio, allora che ‘l desir lo spinge,
di sé prosume e spera far gran cose;
si sganna poi che al paragon si stringe.
Non voglion rimaner però le spose
nel danno; sempre ci è mano adiutrice
che soviene alle pover’ bisognose.
E se non fosse ancor, pur ognun dice
che gli è così: non pòn fuggir la fama,
più che del ver, del falso relatrice,
la qual patisce mal chi l’onor ama;
ma questa passion debole e nulla,
verso un’altra maggior, ser Iorio chiama.
— Peggio è — dice — vedersi un ne la culla,
e per casa giocando ir duo bambini,
e poco prima nata una fanciulla:
et esser di sua età giunto a’ confini,
e non aver che doppo sé lor mostri
la via del bene, e non li fraudi e uncini. —
Pigliala, e non far come alcuni nostri
gentiluomini fanno, e molti féro,
ch’or giaccion per le chiese e per li chiostri:
di mai non la pigliar fu il lor pensiero,
per non aver figliuoli che far pezzi
debbian di quel che a pena basta intiero.
Quel che acerbi non fér, maturi e mézzi
fan poi con biasmo: truovan ne le ville
e ne le cucine anco a chi far vezzi.
Nascono figli e crescon le faville,
et al fin, pusillanimi e bugiardi,
s’inducono a sposar villane e ancille,
perché i figli non restino bastardi.
Quindi è falsificato di Ferrara
in gran parte il buon sangue, se ben guardi;
quindi la gioventù vedi sì rara
che le virtudi e li bei studi, e molta
che degli avi materni i stili impara.
Cugin, fai bene a tòr moglier; ma ascolta:
pensaci prima; non varrà poi dire
di non, s’avrai di sì detto una volta.
In questo il mio consiglio proferire
ti vuo’, e mostrar, se ben non lo richiedi,
quel che tu déi cercar, quel che fuggire.
Tu ti ridi di me forse, e non vedi
come io ti possa consigliar, ch’avuto
non ho in tal nodo mai collo né piedi.
Non hai, quando dui giocano, veduto
che quel che sta a vedere ha meglio spesso
ciò che s’ha a far, che ‘l giocator, saputo?
Se tu vedi che tocchi, o vada appresso
il segno il mio parer, dàgli il consenso;
se non, riputal sciocco, e me con esso.
Ma prima ch’io ti mostri altro compenso,
t’avrei da dir che, se amorosa face
ti fa pigliar moglier, che segui il senso.
Ogni virtude è in lei, s’ella ti piace:
so ben che né orator latin, né greco,
saria a dissuadertilo efficace.
Io non son per mostrar la strada a un cieco;
ma se tu il bianco e il rosso e il ner comprendi,
essamina il consiglio ch’io te arreco.
Tu che vuoi donna, con gran studio intendi
qual sia stata e qual sia la madre, e quali
sien le sorelle, s’al’onore attendi.
S’in cavalli, se ‘n boi, se ‘n bestie tali
guardian le razze, che faremo in questi,
che son fallaci più ch’altri animali?
Di vacca nascer cerva non vedesti,
né mai colomba d’aquila, né figlia
di madre infame di costumi onesti.
Oltre che il ramo al ceppo s’assimiglia,
il dimestico essempio, che le aggira
pel capo sempre, ogni bontà sgombiglia.
Se la madre ha duo amanti, ella ne mira
a quattro e a cinque, e spesso a più di sei,
et a quanti più può la rete tira:
e questo per mostrar che men di lei
non è leggiadra, e non le fur del dono
de la beltà men liberali i dèi.
Saper la balia e le compagne è buono:
se appresso il padre sia nodrita o in corte,
al fuso, all’ago, o pur in canto e in suono.
Non cercar chi più dote, o chi ti porte
titoli e fumi e più nobil parenti
che al tuo aver si convenga e alla tua sorte;
ché difficil sarà, se non ha venti
donne poi dietro e staffieri e un ragazzo
che le sciorini il cul, tu la contenti.
Vorrà una nana, un bufoncello, un pazzo,
e compagni da tavola e da giuoco
che tutto il dì la tengano in solazzo.
Né tòr di casa il piè, né mutar loco
vorrà senza carretta; ben ch’io stimi,
fra tante spese, questa spesa poco:
che se tu non la fai, che sei de’ primi
e di sangue e d’aver ne la tua terra,
non la farà già quei che son degli imi.
E se mattina e sera ondeggiando erra
con cavalli a vettura la Giannicca,
che farà chi del suo li pasce e ferra?
Ma se l’altre n’han dui, ne vuol la ricca
quattro; se le compiaci, più che ‘l conte
Rinaldo mio la te aviluppa e ficca;
se le contrasti, pon la pace a monte,
e come Ulisse al canto, tu l’orecchia
chiudi a pianti, a lamenti, a gridi et onte;
ma non le dir oltraggio, o t’apparecchia
cento udirne per uno, e che ti punga
più che punger non suol vespe né pecchia.
Una che ti sia ugual teco si giunga,
che por non voglia in casa nuove usanze,
né più del grado aver la coda lunga.
Non la vuo’ tal che di bellezze avanze
l’altre, e sia in ogni invito, e sempre vada
capo di schiera per tutte le danze.
Fra bruttezza e beltà truovi una strada
dove è gran turba, né bella né brutta,
che non t’ha da spiacer, se non te aggrada.
Che quindi esce, a man ritta truova tutta
la gente bella, e dal contrario canto
quanta bruttezza ha il mondo esser ridutta.
Quinci più sozze, e poi più sozze quanto
tu vai più inanzi; e quindi truovi i visi
più di bellezza e più tenere il vanto.
S’ove déi tòr la tua vuoi ch’io te avisi,
o ne la strada, o a man ritta nei campi
dirò, ma non di là troppo divisi.
Non ti scostar, non ir dove tu inciampi
in troppo bella moglie, sì che ognuno
per lei d’amor e di desire avampi.
Molti la tenteranno, e quando ad uno
repugni, o a dui, o a tre, non star in speme
che non ne abbia aver vittoria alcuno.
Non la tòr brutta; che torresti insieme
perpetua noia; mediocre forma
sempre lodai, sempre dannai le estreme.
Sia di buona aria, sia gentil, non dorma
con gli occhi aperti; che più l’esser sciocca
d’ogni altra ria deformità deforma.
Se questa in qualche scandalo trabocca,
lo fa palese, in modo che dà sopra
li fatti suoi facenda ad ogni bocca.
L’altra, più saggia, si conduce all’opra
secretamente, e studia, come il gatto,
che la immondizia sua la terra copra.
Sia piacevol, cortese, sia d’ogni atto
di superbia nimica, sia gioconda,
non mesta mai, non mai col ciglio attratto.
Sia vergognosa; ascolti e non risponda
per te dove tu sia; né cessi mai,
né mai stia in ozio; sia polita e monda.
De dieci anni o di dodici, se fai
per mio consiglio, fia di te minore;
di pare o di più età non la tòr mai:
perché passando, come fa, il megliore
tempo e i begli anni in lor prima che in noi,
ti parria vecchia, essendo anco tu in fiore.
Però vorrei che ‘l sposo avesse i suoi
trent’anni, quella età che ‘l furor cessa
presto al voler, presto al pentirse poi.
Tema Dio, ma che udir più d’una messa
voglia il dì non mi piace; e vuo’ che basti
s’una o due volte l’anno si confessa.
Non voglio che con gli asini che basti
non portano abbia pratica, né faccia
ogni dì tórte al confessore e pasti.
Voglio che se contenti de la faccia
che Dio le diede, e lassi il rosso e il bianco
ala signora del signor Ghinaccia.
Fuor che lisciarsi, uno ornamento manco
d’altra ugual gentildonna ella non abbia;
liscio non vuo’, né tu credo il vogli anco.
Se sapesse Erculan dove le labbia
pon quando bacia Lidia, avria più a schivo
che se baciasse un cul marzo, di scabbia.
Non sa che ‘l liscio è fatto col salivo
de le giudee che ‘l vendon; né con tempre
di muschio ancor perde l’odor cattivo.
Non sa che con la merda si distempre
di circoncisi lor bambini il grasso
d’orride serpi che in pastura han sempre.
Oh quante altre spurcizie a dietro lasso,
di che s’ungono il viso, quando al sonno
se acconcia il steso fianco, e il ciglio basso!
Sì che quei che le baciano, ben ponno
con men schivezza e stomachi più saldi
baciar lor anco a nuova luna il conno.
Il sollimato e gli altri unti ribaldi,
di che ad uso del viso empion gli armari,
fan che sì tosto il viso lor s’affaldi;
o che i bei denti, che già fur sì cari,
lascian la bocca fetida e corrotta,
o neri e pochi restano, e mal pari.
Segua le poche, e non la volgar frotta;
né sappia far la tua bianco né rosso,
ma sia del filo e de la tela dotta.
Se tal la truovi, consigliar ti posso
che tu la prenda; se poi cangia stile,
e che se tiri alcun gallante a dosso,
o faccia altra opra enorme, e che simìle
il frutto, in tempo del ricor, non esca
ai molti fior ch’avea mostrato aprile;
de la tua sorte, e non di te t’incresca,
che per indiligenza e poca cura
gusti diverso al’apetito l’ésca.
Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
o chi fa peggio assai, che la conosce,
e pur la vuol, sia quanto voglia impura,
se poi pentito si batte le cosce
altro che sé non de’ imputar del fallo,
né cercar compassion de le sue angosce.
Poi ch’io t’ho posto assai bene a cavallo,
ti voglio anco mostrar come lo guidi,
come spinger lo déi, come fermallo.
Tolto che moglie avrai, lascia li nidi
degli altri, e sta sul tuo; che qualche augello,
trovandol senza te, non vi si annidi.
Falle carezze, et amala con quello
amor che vuoi ch’ella ami te; aggradisci,
e ciò che fa per te paiati bello.
Se pur tal volta errasse, l’ammonisci
sanza ira, con amore; e sia assai pena
che la facci arrossir senza por lisci.
Meglio con la man dolce si raffrena
che con forza il cavallo, e meglio i cani
le lusinghe fan tuoi che la catena.
Questi animal, che son molto più umani,
corregger non si dén sempre con sdegno,
né, al mio parer, mai con menar de mani.
Ch’ella ti sia compagna abbi disegno;
non come in comperata per tua serva
reputa aver in lei dominio e regno.
Cerca di sodisfarle ove proterva
non sia la sua domanda, e, compiacendo,
quanto più amica puoi te la conserva.
Che tu la lasci far non te commendo,
senza saputa tua, ciò ch’ella vuole;
che mostri non fidarti anco riprendo.
Ire a conviti e publiche carole
non le vietar, né, ali suoi tempi, a chiese,
dove ridur la nobiltà si suole:
gli adùlteri né in piazza né in palese,
ma in case de vicini e de commatri,
balie e tal genti, han le lor reti tese.
Abbile sempre, ai chiari tempi e agli atri,
dietro il pensier, né la lasciar di vista:
che ‘l bel rubar suol far gli uomini latri.
Studia che compagnia non abbia trista:
a chi ti vien per casa abbi avvertenza,
che fuor non temi, e dentro il mal consista;
ma studia farlo cautamente, senza
saputa sua; che si dorria a ragione
s’in te sentisse questa diffidenza.
Lievale quanto puoi la occasione
d’esser puttana, e pur se avien che sia,
almen che ella non sia per tua cagione.
Io non so la miglior di questa via
che già t’ho detta, per schivar che in preda
ad altri la tua donna non se dia.
Ma s’ella n’avrà voglia, alcun non creda
di ripararci: ella saprà ben come
far ch’al suo inganno il tuo consiglio ceda.
Fu già un pittor, Galasso era di nome,
che dipinger il diavolo solea
con bel viso, begli occhi e belle chiome;
né piei d’augel né corna gli faccea,
né faccea sì leggiadro né sì adorno
l’angel da Dio mandato in Galilea.
Il diavol, riputandosi a gran scorno
se fosse in cortesia da costui vinto,
gli apparve in sogno un poco inanzi il giorno,
e gli disse in parlar breve e succinto
ch’egli era, e che venia per render merto
de l’averlo sì bel sempre dipinto;
però lo richiedesse, e fosse certo
di subito ottener le sue domande,
e di aver più che non se gli era offerto.
Il meschin, ch’avea moglie d’admirande
bellezze, e ne vivea geloso, e n’era
sempre in sospetto et in angustia grande,
pregò che gli mostrasse la maniera
che s’avesse a tener, perché il marito
potesse star sicur de la mogliera.
Par che ‘l diavolo allor gli ponga in dito
uno annello, e ponendolo gli dica:
— Fin che ce ‘l tenghi, esser non puoi tradito. —
Lieto ch’omai la sua senza fatica
potrà guardar, si sveglia il mastro, e truova
che ‘l dito alla moglier ha ne la fica.
Questo annel tenga in dito, e non lo muova
mai chi non vuol ricevere vergogna
da la sua donna; e a pena anco gli giova,
pur ch’ella voglia, e farlo si dispogna.

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